giovedì 11 febbraio 2010

Preghiera alla Vergine di Papa Giovanni nel 152° anniversario delle apparizioni di Lourdes


Nel 152° anniversario delle apparizioni mariane a Lourdes, presentiamo un brano tratto dalla preghiera che il 25 marzo 1958 l'allora Patriarca di Venezia Cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, pochi mesi dopo eletto al soglio pontificio col nome di Giovanni XXIII, indirizzava alla Vergine Madre, nell'ambito di un discorso in occasione della consacrazione del tempio dedicato a San Pio X. Ci è particolarmente caro venerare e pregare la Creatrice degli universi, còlle parole di un uomo unico ed eccezionale, che proclamò autenticamente la fratellanza universale delle genti.
"O Vergine santa, o Immacolata nostra, quale tu ti dichiarasti sulle parole stesse del Vicario in terra del tuo figlio Gesù, o regina di Lourdes, dacci, dacci dalla pienezza della tua grazia, i tuoi doni. Rinnova i prodigi di un secolo, e fa succedere nuove meraviglie alle meraviglie antiche: 'innova signa, immuta mirabilia'. Glorifica ancora sempre in questo luogo la tua mano e il tuo braccio destro... Come il Figlio tuo parlò un giorno a tutte le nazioni che albeggiavano per la messe, tu richiamale, o madre di Gesù e madre nostra, e riuniscile nell'ossequio alla parola di Gesù: 'Reple Sion in innumerabilibus verbis tuis'. Sii particolarmente amabile per quanti si compiacciono della fedeltà loro e dei loro avi alla tradizione antica: 'iis qui ab initio creaturae tuae sunt'. Le tue comunicazioni confidenti ripetute alla tua diletta Bernadetta, trovino qui o Vergine Immacolata, una più ampia testimonianza della tua larghezza nel senso dei tuoi inviti, qui ed altrove, per il ritorno dei figli dispersi alla casa del Padre che è sempre la casa tua, la dolce casa nostra...
'Sancta Maria Immaculata, succurre miseris'. Soccorri i miseri, dà coraggio ai pusilli, consola i mesti, sana gli infermi, prega per il popolo, intercedi benigna per il clero, abbi uno sguardo speciale al devoto femmineo ceto; tutti sentano, tutti gustino il tuo aiuto benigno e potente, quanti ora e sempre qui ti rendono e renderanno onore, e ti offriranno le loro suppliche fatte passare attraverso l'intercessione del santo pontefice Pio X. Tutti accogli, o madre, e tutti esaudisci.
Siamo tutti tuoi figlioli: 'Exaudi orationes filiorum tuorum. Amen in aeternum'.
(dal Giornale dell'Anima di Giovanni XXIII, 4° ed., pp.443-45)

mercoledì 10 febbraio 2010

La difesa di Malta nell'ultima guerra











L’isola fortificata era contro di noi

La Malta britannica che non fu occupata dall’Asse


Nonostante piani circostanziati e preparativi notevoli, i governi italiano e tedesco non vollero effettuare l’occupazione dell’isola – La determinazione eroica dei maltesi, premiati dal Re Giorgio -


Quando si riflette, comparando i documenti del tempo allo scopo di comprendere, oltre il passato, anche le nebulose del futuro, sui motivi che gettarono l’Italia nella grave sconfitta della seconda guerra mondiale, non si può prescindere dal problema di Malta. L’isola, o meglio l’arcipelago, al centro del Mediterraneo, come è noto colonia e perla di Sua Maestà Britannica in quegli anni, riescì a difendere se medesima dai feroci e potentissimi attacchi delle aviazioni italiana prima e tedesca poi, in conseguenza di un piano finalizzato alla invasione. Che non ci fu, e costituì il più tragico errore, come è stato anche di recente da pubblicazioni competenti stabilito, degli alti comandi dell’Asse. Realtà che era chiara anche al Governo inglese, in quei cruciali periodi guidato da Winston Churchill.
Che Malta fosse indifendibile, proprio per la sopravvalutazione che delle FF.AA. italiane si faceva oltre Manica sin dagli anni Trenta, secondo l’interpretazione dei governi inglesi, come per evidente difficoltà pratica di rifornire l’isola in tempo di guerra, risultò chiaro sin dal confilitto italo-etiopico del 1935-36, che vide contrapposte, allora solo politicamente, la Gran Bretagna e l’Italia; temendo una guerra, Londra sgomberò le forze aeronavali da Malta nell’agosto 1935, trasferendole ad Alessandria d’Egitto. Anche dopo pochi mesi dalla guerra dichiarata da Hitler a Francia ed Inghilterra, i memorandum dell’alto comando britannico proclamavano indifendibile l’isola mediterranea, pur fortificata dalla Natura, nonché munita di ciclopiche mura costrùtte dai Cavalieri di San Giovanni. Pure i comandi italiani stilavano per tempo dei progetti di occupazione dell’isola, sin dagli anni Trenta, rimasti allo stato teorico. Fu nel 1940 che si fece evidente, dopo la nostra dichiarazione, improvvida è dir poco, di guerra all’impero Inglese ed alla Francia già sconfitta dai carri armati germanici, l’inderogabilità della occupazione militare dell’isola, pòsta come ognun sa a mezza strada fra la Sicilia e l’allora nostra colonia di Libia, quindi crocevia indispensabile per il trasporto dei convogli, delle armi e munizioni, dei viveri per il fronte africano che stava per divenire incandescente. Persino i tedeschi, nella testimonianza del capo del controspionaggio Ammiraglio Canaris, che disse testualmente "gli italiani sanno mantenere meglio di noi i loro segreti", dalle comunicazioni dell’addetto navale tedesco a Roma il quale giudicava, dalla propaganda di Mussolini, sicure azioni offensive verso la Corsica, la Tunisia e Malta, non si capacitavano della inazione che nelle prime settimane del conflitto aveva pervaso i vertici politici, circa la mancanza di azioni decisive contro Malta, di cui ognuno si rendeva conto per la vitale importanza strategica dell’isola. Non così inerti gli interessati inglesi, che da subito, provvedendo a guarnire l’isola di ben altri apparecchi che i soli tre aeroplani Gladiator (uno, il Faith, rimane ora nel Museo di Valletta, testimone orgoglioso di quel periodo), di navi e carburante, si rendevano conto della sua sicurezza. Ma anche Churchill, il quale negli anni passati era stato un ammiratore del Fascismo e dello stesso Mussolini, giungendo a sostenerne (negli anni venti) le politiche antibolsceviche, non comprendeva come il Duce potesse limitarsi ai bombardamenti che la nostra Regia Aeronautica effettuava, sin dal giorno dopo l’entrata in guerra, su Malta, con successo evidente ma anche senza effetti decisivi.
La massiccia azione di bombardamento della nostra Regia Marina, ancorata nella rada di Taranto, l’undici novembre di quel fatale 1940, ad opera degli apparecchi inglesi detti ‘Swordfish’, preceduti –e non ostacolati- dai ricognitori Glenn Martin che proprio da Malta si alzavano in volo onde verificare lo stato delle corazzate italiane nel porto pugliese, fu la consacrazione del sentore avuto nel Gabinetto di guerra britannico, della mancanza di volontà –per non dire di cancrene di tradimento, che pure vi furono, e di sentimenti disfattisti, come quelli ampiamente riportati nell’oramai celebre Diario di Galeazzo Ciano, il quale nondimeno seppe con l’onorabilità della morte riscattare comportamenti negativi- da parte degli alti comandi italiani, di contrastare il nemico (vedi la battaglia detta ‘di Punta Stilo’), considerata la mancanza di iniziativa per occupare Malta, continuamente, seppure ad alto prezzo dati i continui nostri attacchi via aerea, rifornita in quel primo periodo di apparecchi Spitfire ed Hurricane, nonché di viveri. Iniziativa italiana che finalmente si vòlle concretizzare solo dopo che, concluso il 1940 tragicamente da parte italiana col disastro di Grecia che costrinse Hitler a venirci in ajuto anche in Africa, la Germania decise di inviare in Sicilia il X Corpo Aereo Tedesco (i cui effettivi erano di stanza in Catania; si pubblicò perfino un giornale in lingua teutonica per loro, "Der Adler from Aetna"), tra il febbraio ed il maggio 1941, il quale effettuava sopra Malta massicci bombardamenti aerei con i celeberrimi Stuka, senza alcun freno ed a bassa quota. Epperò l’occupazione di Creta, fra il maggio ed il giugno del 1941, con corpo di paracadutisti tedeschi provenienti dalla Norvegia, se fu un notevole successo per il Fuhrer, lo impressionò grandemente per le enormi perdite (122 mila uomini e 5 mila annegati) subite, scoraggiandolo dall’intraprendere, come prima si era pensato, l’occupazione da parte tedesca di Malta. Che venne quindi minuziosamente, e finalmente anche nella pratica, non solo studiata ma anche ben preparata dalle forze italiane d’elite, la "Folgore" ed il battaglione "San Marco", tra il febbraio e l’estate del 1942. Nel frattempo, nel novembre 1941 la forza navale di stanza a Malta era stata annientata dalle mine oltreché dai bombardamenti aerei incessanti, e gli arditi della X MAS avevano fatto saltare in aria, entro il munito porto inglese di Alessandria d’Egitto (18 dicembre 1941), le corazzate Valiant e Queen Elizabeth, con azione leggendaria. Era giunto quindi il momento, sanzionato da una riunione in aprile a Berchtesgaden con il Fuhrer dei capi italiani, di occupare prima Malta e poi affondare il ‘grosso’ delle forze corazzate italo-tedesche in Cirenaica e poi verso l’Egitto.
La fase più acuta pertanto della difesa, per il popolo maltese durissimamente provato dai bombardamenti aerei che hanno, come si sa, un tremendo effetto anche psicologico, e della offensiva su Malta, si ebbe nella primavera del 1942, sguarnito il Mediterraneo quasi del tutto dalla Flotta britannica (Churchill chiese ed ottenne una portaerei americana per l’invio dei caccia su Malta, oramai rifornita solo attraverso due sommergibili) e spazzato dagli aerosiluranti italo tedeschi. Ma anche sul fronte britannico non si comprendeva la necessità di difendere Malta ad ogni costo, poiché dalla sua esistenza sarebbe dipesa tutta la guerra, l’intiero apparato dell’Impero inglese. Così Churchill fu costretto ad inviare per telegramma al comandante Auchinleck in Egitto il 10 maggio, allorché questi non si decideva all’offensiva: "Siamo decisi a non lasciar cadere Malta senza che la vostra armata si impegni a combattere con tutte le sue forze per evitarlo. La mancanza di rifornimenti per questa fortezza comporterebbe la perdita di più di trentamila uomini… il nemico, occupandola, disporrebbe di un comodo e sicuro ponte per l’Africa con tutte le conseguenze che inevitabilmente ne deriverebbero… paragonati alla certezza di questi disastri, i rischi circa la sicurezza dell’Egitto sono di gran lunga inferiori…". L’ultima frase è illuminante sulla consapevolezza che a Londra si aveva della situazione. Non così a Berlino: espugnata Tobruk in giugno, il rinvio della occupazione dell’isola (l’operazione Hercules) e la fuga di Rommel verso El Alamein, l’euforìa da ciò generata, salvarono Malta che era allo stremo, letteralmente. "Si è ora sorpassato il limite della resistenza umana", scriveva il governatore dell’isola in quei giorni, "ed è ovvio che il peggio può accadere, se non possiamo soddisfare le nostre vitali necessità, soprattutto di farina e di munizioni…". Sua Maestà il Re Giorgio VI ne fu tanto colpito da conferire il 15 aprile alla popolazione di Malta la più alta onorificenza, la Gorge Cross, "to bear witness to heroism and devotion…". L’insipienza dei vertici tedeschi ed italiani, la loro illusionistica cecità di fronte a quella che lo stesso Hitler chiamò "la dea della fortuna che passa solo una volta", ma forse era fatale, creò l’impensabile: Malta non fu invasa, e resistette, oltre ogni limite.
La sconfitta dell’Asse dal novembre 1942 divenendo completa, faceva cessare i bombardamenti sull’isola che, l’undici settembre del 1943 in ottemperanza all’armistizio di tre giorni prima, riceveva nel porto di Valletta la semi intatta flotta navale italiana, "che è all’ancora sotto la vigilanza dei cannoni della fortezza", scriveva con orgoglio l’ammiraglio Cunningham. Era il tramonto della nostra gloriosa Marina ma anche la realtà di una situazione assurda che avrebbe potuto non esistere, se le volontà troppo umane, lo avessero consentito.


Barone di Sealand, ovvero Francesco Giordano

(pubblicato su Sicilia Sera n°318 del 5 giugno 2009; nella foto, un sommergibile inglese nel porto della Valletta)

Pirateria e verità nel Puntland


A proposito dei recenti attacchi nel Corno d’Africa

Pirateria presunta e verità sullo stato del Puntland


Autoproclamatosi dopo il collasso del governo della Somalia nel 1991, tale stato federale non è
Responsabile dei sequestri dei mercantili – Rifiuti tossici dall’Europa - Le ragioni di quei popoli e l’arroganza delle potenze -


Le cronache degli ultimi mesi, danno notizia dell’intensificarsi degli attacchi di cosiddetti ‘pirati’ i quali, dalla costa nord orientale della Somalia, intraprendono massicci abbordaggi di navi mercantili transitanti nel golfo di Aden. Pare che il traffico di merci e materiali che da quel luogo importantissimo transiti, sia circa il venti per cento di quello mondiale, per cui l’Unione Europea, come altre entità comunitarie, ha allestito sin dal dicembre un gruppo di navi militari àtte a proteggere i traffici marittimi in quelle zone. Occorre fare chiarezza, oltre ogni disinformazione, sovente interessata, proveniente da fonti europee, allo scopo di restituire dignità alle popolazioni somale del corno d’Africa. Se infatti è noto che il collasso del governo nazionale del grande paese africano, dopo la dittatura di Siad Barre, rimonta al 1991, ed i successivi tentativi (anche degli USA, con spargimenti di sangue) delle Nazioni Unite non hanno portato, se non di recente, alla formazione a Mogadiscio di un governo di transizione approvato anche dall’OUA, nel nord dell’ex colonia italiana (amministrata fiduciariamente tra il 1950 ed il 1960 dall’AFIS, per conto dell’ONU, dopo nove anni di occupazione inglese conseguente alla nostra sconfitta nella seconda guerra mondiale) sin dagli anni Novanta, si sono autoproclamati due stati autonomi, dalle storie diverse, proprio tra il golfo di Aden e l’oceano indiano. Il Somaliland ricalca l’omonima colonia inglese, ed ha speranze di veder riconosciuto il proprio status dalle Nazioni Unite. Il corno d’Africa vede altresì il 5 maggio 1998 a Garowe la nascita dello stato autonomo federale del Puntland ( ‘paese di Punt’ o dell’incenso, secondo la leggenda biblica), da parte di sette regioni, come si nota dalla cartina che qui si pubblica, autoproclamate e riunite in unica amministrazione.
Il governo autonomo federale del Puntland ha capitale Garowe, con città popolate come Bosso, dall’importante porto (la vecchia Bender Cassìm), ed Eyl. Tra le sue ricchezze, in una regione montuosa, la pesca ed il sale. La superficie supera i 212 mila km. quadrati, e di oltre due milioni e quattrocentomila abitanti è la popolazione; ha avuto tre presidenti, il cui ultimo, Abdelrahman Mohamed Mohamud detto anche Farole, è stato eletto l’otto di gennaio di quest’anno (dopo tre scrutini, in forma molto democratica); il suo Parlamento è composto di 66 membri da tutte le regioni, ed il potere è legislativo esecutivo e giudiziario. Se lo Stato sovrano del Puntland, al cui interno la popolazione, oltre l’arabo –religione prevalente la mussulmana- parla anche l’inglese e l’italiano, non ha ancora il riconoscimento internazionale che gli spetta, e dovrebbe a nostro avviso avere, la sua Costituzione transitoria all’articolo 1 prevede la federazione con il governo nazionale di Somalia, laddove quest’ultimo riesca a controllare e governare il territorio di sua pertinenza. Essendo così la situazione politica, perché da parte dei nostri giornali e TV ci viene sovente il messaggio dei ‘pirati’ somali, che attaccano le navi degli stati d’Europa?
Una risposta la fornisce il rais di Libia Mohàmmar el Gheddafi, anche presidente dell’Organizzazione dell’Unità Africana, il quale afferma gli attacchi essere la "risposta all’avidità dei paesi occidentali che sfruttano le risorse della Somalia", precisando che gli ex pescatori che attraverso arditi barchini si impossessano a volte del carico dei mercantili in transito, "difendono il cibo dei loro bambini": queste navi infatti sovente trasportano, come l’americana "Maersk Alabama" il cui capitano è stato liberato con un ‘blitz’ delle forze navali USA, grano ed olio, alimenti indispensabili per il popolo del corno d’Africa che non riceve aiuti internazionali. Comunque le iniziative dei gruppi singoli non fanno parte della strategìa del governo legittimo del Puntland, il quale anzi respinge ogni forma di pirateria, ed intende reprimerla oltreché controllare personalmente le proprie coste, stroncando altresì (come è accaduto nelle scorse settimane, con il fermo di due pescherecci egiziani e di una nave mercantile italiana) sia il pescaggio illegale, sia gli accertati (dalle inchieste di Famiglia Cristiana, ultimamente dell’Indipendent, per non dire di quelle della collega di Rai 3 Ilaria Alpi, che ivi e per questi motivi fu assassinata) sversamenti di scorie tossiche, nei mari pescosi e densi di ricchezze del nord est della Somalia. La presenza di rifiuti tossici è il vero motivo per cui le autorità del Puntland, nel caso specifico, intendono veder chiaro sulla presenza della nave mercantile italiana Buccaneer, all’ancora nel golfo di Aden: medesimamente il silenzio stampa del nostro Ministero degli Esteri è tristemente eloquente, sulle responsabilità europee al riguardo.
L’opinione pubblica italiana, che di quella che fu la "porta oceanica" del nostro Regno, la cui struttura cartografica amministrativa sociale fu in gran parte da noi creata, essendo stata l’intiera Somalia dal governo Italiano eretta a Colonia sin dal 1905, sanzionando così la precedente gestione privata dei venti anni precedenti, in linea colla politica coloniale del tempo, specialmente britannica, negli ultimi anni poco conosce, deve essere ora bene informata, sulla attuale situazione di quelle terre antiche e gloriose, patria di gente fiera ed orgogliosa la quale ha accettato la modernità ma coniugata colla tradizione, e che non intende farsi sfruttare da alcuno, nel cammino fatale verso il proprio sviluppo e la propria libertà, in armonia con il corso del volere divino. L’antico sultanato di Migiugurtinia, dalle cui radici il Puntland prende il nesso storico, ha tutte le capacità per progredire nel XXI secolo, senza nessuna crosta soffocante di ipocrita neocolonialismo delle potenze anglo-americane e la complice sudditanza dei governi dell’Unione Europea. E’ fondamentale pertanto far conoscere il punto di vista del popolo somalo, che ha nel governo dello Stato del Puntland un autorevole interprete.
Per quel che concerne poi il concetto di pirateria, mentre i giornalisti poco informati passano il paragone, oltretutto errato, colla isola di Tortuga, rimandando così all’idea romantica dei Drake e dei Morgan, attraverso i quali comunque si impose e prosperò l’Impero coloniale di Sua Maestà Britannica, meglio sarebbe –in specie per la stampa italiana- ricordare le parole di Tucidide, il quale (nella "Guerra del Peloponneso", cinquecento anni a.C.) precisa: "In antico i greci ed i barbari abitanti le regioni costiere del continente e quelli che erano nelle isole, quando cominciarono ad intensificarsi i traffici per mare, si volsero alla pirateria; li guidavano uomini molto decisi, tutti intenti a procurare guadagni per sé e cibo per la folla imbelle… né un tal genere di attività aveva alcunché di vergognoso a quei tempi, anzi arrecava piuttosto una certa gloria… alcune popolazioni del continente, ancor oggi si ascrivono a vanto di esercitare la pirateria…". La stampa nostrana dovrebbe ricordare che, dopo Minosse di Creta, un grande capo navale che dalla pirateria creò ex novo uno stato, fu (ne narra le gesta Erodono) Policrate tiranno di Samo; e per l’Italia, il generale Gneo Pompeo che fu detto il Magno (il figlio Sesto organizzò in Sicilia grandi basi navali piratesche contro Ottaviano, nella guerra civile), ottenuti pieni poteri per tre anni nel 67 a.C., in soli tre mesi sbaragliava l’intiera marineria piratesca dei Cilici, catturando oltre ventimila prigionieri: ma (precisa Plutarco nella sua Vita), "quanto alle persone dei pirati, non pensò nemmeno di farli morire… rifletté invece come non sia l’uomo a nascere o diventare per natura propria un essere selvaggio ed insocievole: egli traligna quando, allontanandosi dalla sua natura, pratica il vizio". Dovremmo rammentare bene codeste affermazioni di saggezza di un grande uomo di stato dell’antica Roma (non casualmente, trucidato dagli scherani di Cesare), riflettendo sui "vizi" che proprio la cattiva gestione, per non dir altro, dei rapporti internazionali, anche dei passati governi italiani che indegnamente trescarono con quello somalo poi deposto, han fatto piombare la Somalia nel caos entro cui da quasi venti anni si dibatte (a dicembre il rappresentante dell’ONU per la Somalia Ahmedou O. Abdallah ha detto che "la comunità internazionale l’ha abbandonata al suo destino, la pirateria è una delle conseguenze"), superato in alcune regioni colla creazione di Stati autonomi, il Somaliland ed il Puntland, ove se vi è calma tra le genti, essi debbono essere apprezzati per il loro operato e non indicati quali corresponsabili di atti che comunque hanno scaturigini lontane e riconducibili all’arroganza delle potenze economiche mondiali. Più che di pirateria, nel corno d’Africa governato dallo Stato del Puntland si deve scrivere di progresso e di civiltà, considerate le gloriose ed antiche origini di quei popoli, i quali (come fu, ed è ancora in Sicilia, per alcuni aspetti) con un gesto, una stretta di mano, un simbolo arcano possono siglare accordi, concludere trattative e gestire situazioni, conservando l’Etica autentica, la nobiltà d’animo e di carattere che altri, e per loro colpa, hanno voluto dimenticare. Sul Puntland e la presunta pirateria si scriva quindi con onestà e giustizia.
 
Barone di Sealand, ovvero Francesco Giordano

(pubblicato su Sicilia Sera n°318 del 5 giugno 2009)
 

Brigantony re del folk siciliano

Celebre negli anni Ottanta ed ancora attivo

Brigantony, il ‘re’ del folk siciliano

Dalla diffusione delle radio libere nacque la sua popolarità, poi divenuta immensa in Sicilia e nel mondo – La volgarità come veicolo per messaggi oltre l’ipocrita convenzionalismo – Alcune canzoni sono intramontabili -
 
 
Epoca memorabile, la seconda metà degli anni settanta, in Italia come in Sicilia: l’esplosione di quelle che ai tempi erano denominate ‘radio libere’ fu una autentica liberazione, vera orgia di canzonette, per le strade come nelle case. Chi non ha vissuto, da bambino e da adulto, quel periodo –che per inciso, durò circa un quindicennio, fino alla emanazione della legge Mammì nel 1990 e la regolamentazione del settore- per motivi strettamente cronologici, non può comprendere quale fosse il clima, meglio il ‘milieu’ culturale creatosi, in senso onnicomprensivo, nella realtà sociale del popolo italiano. In Sicilia particolarmente il fenomeno ebbe una caratteristica precipua: fece nascere dalle radioline e dalle stazioni approntate sovente alla buona, con mezzi di fortuna e da personaggi quasi pittoreschi, delle figure artistiche che assursero a miti, semileggende metropolitane. Da tale pulpito canzonettistico, ci si riferisce ovviamente alla canzone in lingua, o vernacolo, siciliana (per le melodie in napoletano la storia è simile, e merita trattazione a sé) sgorgarono cantanti straordinarii, che oggi a distanza sufficiente di tempo, possiamo definire le colonne sonore della nostra vita, di quegli anni. Come accade inevitabilmente, molti furon meteore, e tramontarono: uno però rimase, poiché sin da subito giganteggiò: si tratta di Brigantony, all’anagrafe Antonino Caponnetto nativo del quartiere catanese di Cibali, già pittore edile. Egli fu, è e rimane l’autentico ‘re’ del folk siculo, in ogni senso.
Quei che rammentano, anche se a volte la memoria giuoca scherzi tristi, come le successive generazioni, tengan conto che a Catania, ed in molte altre città siciliane, il veicolo canoro delle radio private, o libere, fu il megafono assoluto di cotali interpreti della musica popolare, ed in questo torno di tempo l’ex imbianchino Brigantony, dall’aspetto fisico caratteristico ed anche studiato ad arte, si impone alla memoria di bimbi ed adulti: esce nel 1976 il primo suo album, o musicassetta (diverranno una cinquantina), dal titolo "La bella vita". Era frequente sentire cantare codesta canzone tra i ragazzi delle elementari nelle zone popolari, contribuendo alla conoscenza dell’artista. E però la sua fama universale esplode nei primi anni ottanta, con gli album (detti anche all’epoca ‘volumi’) "Divertimento in folk" del 1980, "Brigantony si scatena" del 1981 e "1 X 2" del 1984. E’ difficile anche per noi, che eravamo tra gli estimatori, imaginare e riescire adesso anche solo a dare una vaga idea della città di quegli anni, ove in qualunque zona, con evidente preponderanza di quelle popolari, ci si recasse per le occupazioni quotidiane, dalle case alle ‘lape’ dei gelataj alle automobili da pochissimo equipaggiate con le autoradio ed il mangianastri, si udisse quasi incessantemente la voce divertente di Brigantony che intonava "A nanna si nni fuiu", suo immenso successo (facente parte di una triade, per cui vi furono "A nanna è incinta" e, conosciutissima, "A nanna patturiu"), insieme alla "Sasizza", "Shanana", "U postu o Cumuni", "A cabina", e "L’intervista", ove alla garbata presa in giro degli omosessuali egli affianca notevoli doti recitative.
Nel 1982 Brigantony riceve un premio come cantante più ascoltato delle radio libere di Sicilia: riconoscimento meritato. Lo rammentiamo al culmine del successo, fra le tante occasioni, in un Teatro, il "Sud" di via Re Martino a Picanello, ora non più esistente, gremito di centinaja di partecipanti per un concerto con appropriata ‘band’. Alla volgarità dei testi, infarciti di doppi sensi che in sequenza si renderanno sempre più espliciti, egli risponde allora come oggi che ciò che si rappresenta è lo specchio, magari occultato appositamente, della autentica società sicula, la quale sovente si appassiona e ride di sottecchi su argomenti che, tra amici, crede opportuno celare. E’ la sempiterna storia, avente radici lontane e sulla quale sarebbe lunga l’indagine, spaziante fra l’Ovidio dell’Ars Amandi e l’Aretino per giungere al nostro tragico e solenne Micio Tempio ed a Giovanni Meli, aedi della Sicilia settecentesca splendida e volgarissima nella sua solennità barocca, che fa parte del costume nazionale. Qui preme nondimeno osservare che l’estro artistico di Brigantony ha prodotto financo canzoni ispirate alla più pura melodia siciliana classica, che gli valsero la partecipazione alla edizione televisiva di quegli anni del Festival della Canzone siciliana, e i suoi numerosi ‘tour’ nelle Americhe (ove si è recato circa quaranta volte) ed in Australia: canzoni dense e commoventi d’amore per la donna che ognuno ha nel cuore, come "Carusidda siciliana" e sopra tutto "Bedda", forse il suo più grande successo artistico, la cui trasparente bellezza a nostro avviso è ben paragonabile ad "E vui dormiti ancora", meritando un posto d’onore nel pantheon ideale delle melodie sicule. Brigantony ha spaziato in tutti i generi, prediligendo il folk ed il rock in versione sicula, con ampia estrosità. Nella seconda metà degli anni ottanta, il suo stile diviene ancor più esplicito: ovvero si rendon chiare quelle allusioni nelle canzoni popolari, in tono con i tempi, per cui nascono canzonette popolarissime come "A sucalora" e "Mi stuppai na fanta", accanto alle scenette (di cui nel 1992 vi sarà la versione in video detta "Telemelaviro") di "Ciao buonasera", "Padre Tamarindo", "Pippu carni ‘i cavaddu". Egli ha sovente inciso con la casa discografica Sea Musica, collaborando con Tony Ranno e le musiche del fisarmonicista Gino Finocchiaro; un libretto sui significati delle sue canzoni è stato pubblicato nel 1998. Una importante operazione culturale intrapresa da Brigantony è la pubblicazione, negli anni novanta, delle poesie erotiche di Micio Tempio, da lui lette con originale novità, e di cui -come di alcune sue canzoni- esistono ‘presenze’ sul canale Internet di Youtube. Egli ha anche un sito personale, e l’immancabile ‘fan site’. Ha anche effettuato ‘incursioni’ in politica, ove il suo pensiero verso i politicanti è icasticamente espresso in una canzone, dal titolo essenziale: "Bastaddi".
Ma forse la filosofia di vita che è spesso trasmessa dalle canzoni di Brigantony, si può condensare in uno dei suoi ultimi brani, "La pacchiomanìa", ove le parole "a i masculiddi d’inta ‘a testa ccì furrìa… a chiddi ranni si cci adduma sempri a spia… cò cauru aumenta e nn’acchiana ‘a fantasìa…". E’ il sesso, codesta eterna ossessione umana ed in Sicilia sempre presente, in parallelo alla morte, nella storia come nella palingenesi psicologica del popolo, a trionfare nella sua manifestazione puramente pànica, attraverso le canzoni di Brigantony, in ogni sua forma. Ed egli, colla semplicità della gioja e del sorriso specie negli ultimi anni, riesce a ridere ed a far ridere tutte le classi sociali, accomunate dagli stessi sentimenti, dagli stessi desiderii, dagli stessi ideali.
L’artista catanese ha avuto anche l’onore di essere ‘ripreso’ da un gruppo di giovani jazzisti, i "Brigantini", che negli ultimi anni del XXI secolo ne propongono, arrangiandoli a loro modo, i più conosciuti successi. A sessantuno anni, l’artista del segno del Toro, da alcuni appellato ‘maestro’ (epperò, come riferisce Renzo Arbore, "se ti chiamano maestro vuol dire che sei finito"), gestisce un ristorante sul lungomare di Acireale, "Cu c’è c’è", e continua a tenere concerti e serate, dal Madison square di New York al Tondicello della Plaja a Nizza di Sicilia. I fiumi scorrono e con essi molti cambiamenti, però le passioni e gli amori cantati da Brigantony permangono intatti, in tutta la loro luce. Anche per questo, siamo lieti che egli continui a farci sorridere, con schiettezza e semplicità.
 
Bar. Sea. , ovvero Francesco Giordano

(pubblicato su Sicilia Sera n°318 del 5 giugno 2009)

Il senso di foglie sparse


Come i metaforici soldati dei versi ungarettiani, tentiamo di lasciare, nel luminoso tratto della vita, un segno. Nell'attesa di cadere, per sempre, felici tuttavolta, come la splendida coccinella che un giorno, certamente non per caso, volemmo fotografare. I suoi sette punti indicano la via.