lunedì 14 marzo 2011

Il Presidente cinese Hu Jintao e gli USA, un rapporto complesso


Il Presidente in visita in America


Hu Jintao, l’uomo più potente del mondo, in USA da protagonista


La visita di stato ha mostrato la debolezza dell’economìa americana, nonostante gli sforzi
di Obama – Il monito di Kissinger e l’integrità confuciana del leader cinese -
 
Quando nel 1957 l’allora giovane professore di Harward Henry Kissinger scriveva "A word restored", tratteggiava in quel volume di sapiente attenzione, la figura che egli medesimo avrebbe ricoperto quindici anni dopo, quella del Metternich moderno: sovvengono codesti pensieri, nel leggere in controluce l’articolo scritto poche settimane fa dall’ora ottantottenne ‘herr doktòr’, artefice del riavvicinamento Usa-Cina e premio Nobel per la Pace, negli anni Settanta, il quale ha preceduto la visita negli Stati Uniti di colui che è –secondo Forbes- l’uomo più potente del mondo, ovvero il Presidente della Repubblica Popolare Cinese (nonché segretario del PCC e Presidente della Commissione militare), Hu Jintao, nei giorni 18-21 gennaio. E’ stata una visita importantissima e in certo senso storica, come ha voluto intendere il vecchio tessitore Kissinger: "L’America deve avere buoni rapporti con la Cina di oggi", ha ribadito l’uomo delle mille trame, anche per assicurare al presente ed al futuro il lavoro da egli intrapreso e sapientemente costruito con Mao e Ciù En Lai, negli anni della cosiddetta ‘diplomazia del ping pong’. Oggi però la situazione, economicamente parlando, è stravolta, e mentre dal punto di vista strategico-militare la Cina ha inaugurato nuovi missili ed un potente aereo invisibile, nell’economìa è il vero ‘proprietario’ della tesoreria degli Stati Uniti, avendo questi ultimi un debito nei confronti del governo cinese, che mette Pechino in condizione di poter tenere quasi sotto controllo l’egemonìa americana, nel mondo. Alcuni commentatori affermano che l’intenzione sia quella di sostituire lo Yuan, moneta nazionale, nelle transazioni finanziarie mondiali con il dollaro: noi crediamo che, almeno nel cinquantennio che verrà, ciò non sia nell’interesse del governo cinese. Ma è evidente che l’investimento principe, ovvero quello in oro, è stimolato dai dirigenti cinesi, da parte della popolazione: gli investitori comprano oro dovunque; in tale quadro, che River Court, il quartiere londinese della potente Goldman Sachs, sia stato comperato da una società "Chinese estates", la dice lunga sul livello di potenza della Cina, oggi. Neppure la potente lobby israeliana può adoprarsi alcunché per anche solo limitare codesta realtà: l’evidenza la si è avuta nell’ultimo giorno della visita di Hu Jintao a Chicago, città del Presidente Obama (con una delle figliole che studia cinese e che ha scambiato qualche battuta col leader, significativo segno), laddove il capo della nazione asiatica ha portato con sé ben 500 imprenditori della sua Patria, per investire nella disastrata economìa USA, dalla crisi del 2008 al collasso finanziario (se non fosse per l’immissione forzata, a cui Hu Jintao si è giustamente detto avverso, di dollari fittizi stampati dalla FED, che è un consorzio di banche private, sia chiaro, onde reggere la struttura statale americana) odierno, che Barack Hussein Obama sta tentando, dapprima con misure drastiche poi rivelatisi poco sicure, ora con compromessi inevitabili col Congresso a maggioranza repubblicana dopo le elezioni di mid term, di contenere.
E se i commentatori di estrazione conservatrice tacciano Hu Jintao di essere il "Bush cinese", qualora si voglia ricordare la parata militare dell’ottobre 2009, sessantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, con la figura ieratica del leader, impettito e scattante innanzi a tanta potenza e sfoggio di grandezza e muscolarità non tanto guerresca, quanto economica, si comprenderà come un uomo dalla vita privata integerrima, può ben assurgere al timone di comando di una grande nazione, e gestirla con piglio sicuro, nel XXI secolo il quale –per la immensa diffusione dei prodotti di ogni genere provenienti dalla Cina in tutto il mondo- sarà il tempo dell’Asia, e della sua infinita Patria di uomini gialli, della loro cultura, della loro tradizione trimillenaria, della loro civiltà ammantata da una ideologìa la quale, se conserva il nome dell’antica visione socialista ed occidentale, ha dietro la patina, la veste multicolore ma compatta della dottrina confuciana ed assoluta del Celeste Impero, di cui prima Mao, poi Deng Xiaoping (e Hu Jintao proprio dal grande Deng fu scelto come successore designato, secondo una antichissima abitudine, che era già degli Imperatori Romani), furono solenni incarnazioni.
"Solo colui la cui vita privata fu sempre integra, può arrischiarsi alla vita pubblica; ma chi non conosce onestà per sé, con che faccia si fa egli innanzi agli altri, ai quali deve essere esempio di lealtà e schiettezza? … Il sovrano sia esempio d’ogni virtù, e adoperi ogni sua forza a vantaggio del popolo": tali insegnamenti di Confucio, ben più che la dottrina leninista, albergano oggi nella alta dirigenza cinese: infatti il Presidente Hu, a Chicago non ha inaugurato un Istituto Marx-Engels, ma una scuola culturale confuciana! E se il dottor Kissinger, da finissimo uomo politico, ha lanciato l’avvertimento ben prima che si avveri la profezia e naturalmente per non rimanere indietro nell’ultima carrozza del treno della Storia, gli è che la potenza economica della Cina –la quale avendo surclassato per la sua capacità di incamerare nelle banche centrali immense quantità di oro, nonché investire in Euro e trattenere il grandissimo debito americano, del cui mercato del resto non potrebbe fare a meno poiché è una notevolissima fonte di sviluppo, ed avendo altresì, nel silenzio e nel lavorìo indefesso con cui i cinesi hanno scavato potenti gallerie, preso possesso delle miniere e dei giacimenti di metalli preziosi dell’Africa, attraverso accordi economici e di sostegno coi governi deboli di quelle nazioni- è risultata da questa visita, ad apertura del 2011, inarrestabile e decisa a marciare con passo sicuro, nel ruolo di guida della struttura sociale del mondo: se, come è emerso nell’ultimo ventennio, essa si fonda sul predominio –marxiano codesto, è vero- della economìa sulla politica, almeno all’apparenza delle masse.
Del resto, il Presidente Hu può permettersi ciò: ingegnere idraulico, sessantanovenne, alla guida del Partito e dello Stato dal 2002, è stato capo della regione del Tibet e con vigore ha represso i moti di ribellione del pur oppresso stato del Dalai Lama, guadagnandosi il plauso degli allora dirigenti di Pechino; ha elegantemente ignorato le obiezioni sollevategli sui diritti umani e sul problema del premio nobel Xiaobo, che il governo di Pechino tiene prigioniero per motivi di sicurezza nazionale, rispondendo a suo modo, senza cadere in trappole e scene inutili. Insomma, nell’epoca attuale di decadimento e di personaggi discutibili ai massimi livelli delle nazioni, pur nelle notevoli differenze, un vero ed autentico capo. Protocollare e preciso, come nella alta tradizione dei dirigenti cinesi, è un imperatore senza corona in cui vediamo l’applicazione della grande scuola confuciana, secondo il seguente pensiero menciàno: "Per ben governare sono necessarie tre cose: benessere materiale, armi e fiducia in chi regge lo Stato. Se tutte e tre queste cose non si possono avere, convien fare a meno delle armi; ma se anche le vettovaglie venissero a mancare, e il popolo impoverisse, si faccia ogni sforzo, perché il popolo non perda mai la fiducia. La miseria può uccidere gli uomini, ma la mancanza di fede uccide le nazioni". E la Cina d’oggi, a differenza dell’Europa (gli USA per fortuna serbano quel patrimonio illuminato che è la Costituzione del 1776, fonte inesauribile di Luce), ha grande, lungimirante fede.

Barone di Sealand
(Pubblicato su Sicilia Sera n°337 del 6 marzo 2011)