mercoledì 17 agosto 2016

Lettera aperta alla Corte di Cassazione, rinnovata richiesta di referendum istituzionale



Riceviamo e pubblichiamo, questa interessante lettera, reiterata, alla Corte di Cassazione repubblicana: risponderà?



PARTITO DELLA
Alternativa Monarchica
alternativamonarchica@email.it
Reggenza Nazionale P.d.A.M.


LETTERA APERTA

Oggetto: Rinnovata richiesta Referendum Istituzionale
Allegati: 1) 2011029 LETTERA APERTA del 01/06/2011. Oggetto: Corte di Cassazione – referendum istituzionale (a seguito)


16/08/2016
Eccellentissima Corte di Cassazione,

con la presente si rinnova la richiesta, inviata oltre cinque anni fa in data 01/06/2011 e ad oggi senza risposta (come da allegato a seguito), di chiarimenti su  gravi mancanze procedurali inerenti il Referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
Visto e considerato che tutti i cittadini italiani hanno il diritto di conoscere la vostra risposta alla luce delle leggi vigenti in merito, e non solo i monarchici, che in ogni caso hanno i medesimi diritti degli altri cittadini, attendiamo una risposta per iscritto, secondo la legge sulla trasparenza, Decreto Legislativo del 14 marzo 2013, n. 33 e successive modificazioni.

Matteo Cornelius Sullivan
Reggente del Partito della Alternativa Monarchica

Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia
Addetto P.d.A.M. alle Relazioni Internazionali

Daniele Antonio Federico Marchesi
Vicesegretario Nazionale P.d.A.M.

Vittorio Pareto




2011029
PARTITO DELLA
Alternativa Monarchica
p.alternativamonarchica@email.it
Reggenza Nazionale P.d.A.M.
Cell. 339 601 7911

LETTERA APERTA
01/06/2011
Oggetto: Corte di Cassazione – referendum istituzionale

Eccellentissima Corte di Cassazione,

I sottoscritti, Matteo Cornelius Sullivan, Davide Pozzi Sacchi di S.Sofia, Roberto Strani, Massimo Molini di Valibona, Vittorio Pareto, Loredana Di Giovanni, Pietro Vitale, Giuseppe Catanzaro, Roberto Ervas, ai sensi della legge 241/90, detta legge sulla trasparenza amministrativa, chiedono a questa Eccellentissima Corte
1) per quale motivo detta Corte non abbia mai proclamato l'esito del referendum istituzionale monarchia-repubblica come previsto dal Decreto Legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, N.98 integrazioni e modifiche al Decreto-legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, N.151
2) se la Corte non ritenga che la mancata proclamazione degli esiti del referendum non infici la validità del referendum medesimo per mancata osservanza della procedura di legge.

Con osservanza

Matteo Cornelius Sullivan
Reggente del Partito della Alternativa Monarchica

Roberto Strani
Presidente del movimento monarchico Mitteleuropa Mediterraneo Italia

Massimo Molini di Valibona
Reggente delle Guardie dell’Imperatore

Loredana Di Giovanni
Responsabile Regionale Lazio del Gruppo Savoia

Davide Pozzi Sacchi di S.Sofia
Commissario P.d.A.M. per la Lombardia e l’Emilia Romagna

Pietro Vitale
Commissario P.d.A.M. per la Puglia

Giuseppe Catanzaro
Commissario P.d.A.M. per Gorizia

Roberto Ervas
Addetto alla Propaganda P.d.A.M.

Vittorio Pareto

lunedì 15 agosto 2016

Note di storia balcanica: Michele I e il despotato d'Epiro in Europa fra XIII e XIV secolo





           Note di storia balcanica: Michele I e il despotato d'Epiro in Europa fra XIII e XIV secolo

L'avvenimento più grande, e catastrofico, del XIII secolo fu senza dubbio la caduta di Costantinopoli nell'aprile 1204 per mano della IV crociata: la distruzione della città, che mai prima era stata espugnata, erede dell'Impero Romano, fu un cataclisma senza precedenti nella storia, anche perchè -per soddisfare le brame commerciali della potentissima Venezia, il cui Doge Enrico Dandolo decideva alle porte dell'Ellesponto, coi baroni franchi, di dividersi le spoglie di ciò che rimaneva dell'Impero bizantino- venne per tre giorni perpetrato un immane massacro, raccontano i cronisti, di qualunque essere umano vi si trovasse, senza risparmiare nessuno, tanto che persino i musulmani furono visti per indulgenti. Cristiani che massacrano i cristiani, invece di essere uniti sotto la Croce del Risorto: è accaduto sovente nel passato, che più non accada. Non a caso l'oggi Santo Giovanni Paolo II, recandosi ad Istambul nel 2001, ha pòrto al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli le scuse del Cattolicesimo di allora, per le violenze inaudite di quella crociata la quale, ufficialmente, era stata indetta per liberare i luoghi santi, mentre servì per creare l'impero coloniale veneziano, laddove la repubblica marinara -che pure rimaneva assegnataria dei Balcani occidentali- preferiva mantenere in saldo possesso tutti i porti greci fino a Costantinopoli e gli stretti e la gran parte della città: dònde non a caso Dandolo e i successori vennero chiamati "signori della quarta parte e mezza dell'Impero romano" .
Pecunia non olet e la brama dei saccheggi è sempre esistita: i leoni di San Marco a Venezia provengono dal sacco di Costantinopoli del 1204, come le numerosissime reliquie. Le chiese spogliate, solo la sacra icona della Madonna Odigitria i Crociati non vollero, o non poterono, trafugare: la sua sorte doveva essere decisa nel fatale maggio del 1453, dai musulmani di Maometto II.   Ma l'avvenimento della temporanea scomparsa dell'Impero bizantino da Costantinopoli, oltrechè impressionare tutte le genti cristiano ortodosse, se fece gridare di sdegno, sulla carta, Papa Innocenzo III da Roma, permise il nascere di due Imperi che si érsero ad eredi del costantinopolitano, ovvero bizantini, ed entrambi i regnanti cinsero la porpora: l'Impero di Nicea e il despotato di Epiro; se non contiamo i principati franchi di Acaia e di Tessaglia, tenuti e svaniti nelle varie guerriglie ed alleanze e voltafaccia, i cosiddetti "bizantinismi" della politica balcanica, da cui il termine in uso nella lessicografia italica.
Un condottiero cugino del già imperatore di Bisanzio Alessio III Angelo, pare presente a Costantinopoli durante il conflitto, emerge allora dal marasma, e come "un nuovo Noè", scrive il metropolita ortodosso di Naupatto, Giovanni Apokausto, si mette alla guida di poveri, magnati, ricchi proprietari e li trascina nelle terre montuose dell'Epiro, affacciate sul mare Jonio, perché lì il terrore dei crociati non era arrivato e la cristianità ortodossa autocefala (rammentiamo che per i balcanici l'autogoverno religioso senza sottomissione a Roma era, ed è, essenziale) poteva vivere una nuova vita in piena libertà. Costui è un trentacinquenne, Michele Comneno Ducas (cognomi derivati dalla madre e dal padre: il titolo cognominico di Angelo non lo usò ma lo attribuiscono gli storici successivi, in base alle cronache nicene, che gli furono ovviamente ostili).  La creazione dello stato epirota, nel solco di quello greco di Pirro, soffocato nel II secolo a.C. dalla potenza romana dopo una vitalità notevole,  si deve a lui.
Come il pilota dell'Arca, Michele si asside sui monti, ricompatta le tribù, si legittima nelle terre tra Durazzo e il golfo di Corinto (Epiro vuol dire "terraferma" in greco antico), stabilisce la sede ad Arta sul mare in posizione strategica, sposa la figlia di un notabile locale onde stringere meglio quei legami familiari, aspetto essenziale della politica bizantina.  La legittimazione a capo dello stato, il Despotato (dal greco, "principe", titolo che gli imperatori bizantini concedevano similmente al Vicerè in Ispagna: negli ultimi secoli ha assunto connotati ingiustamente negativi) gli venne de facto dall'aver riscattato l'imperatore e parente Alessio III Angelo e la moglie, fuggiti e raminghi in Europa, di averli ospitati ad Arta prima del ritorno inutile verso l'Asia minore ove Teodoro Lascaris di Nicea li sconfiggeva ed imprigionava, spegnendo il loro sogno di riconquistare il trono. Pare che prima di ciò, Alessio III abbia affidato a Michele Comneno Ducas ed ai suoi discendenti il principato di Epiro, nominandolo Despota. Altrimenti non si spiegherebbero le azioni dei suoi successori, anche se -in quanto storici acribici, si lavora sui documenti- il primo sovrano epirota sul quale si riscontra l'affermazione  scritta del titolo di Despota, è il figlio naturale di Michele, Michele II, alcuni decenni dopo. Ma nei fatti così andarono le cose.
Michele I d'Epiro si adoprò per fortificare il nuovo dominio, prima accogliendo come "gestore" la città veneziana di Durazzo e l'isola di Corfù, poi annettendole direttamente quando fu certo di poterlo fare, pur formalmente rimanendo tributario della Serenissima. Ad Angelokastro in Corfù il castello è stato costruito e rafforzato da lui, come diversi monasteri ad Arta e Giannina, ove sormonta la figura del suo protettore, l'arcangelo Michele. Troveremo Michele spesso nella religiosità ortodossa, nei secoli fedele ad una certa visione mistica: pensiamo, nel XX secolo, alla Romania del Capitano Corneliu Codreanu e alla sua Legione dell'Arcangelo. Pure nella Chiesa Cattolica, più ieri che oggi, ove le chiese di San Michele sussistono, potentissime forze di luce emanano.
Michele I d'Epiro tenta anche di conquistare il principato latino di Tessaglia e vi riesce in gran parte, tra accordi con l'imperatore crociato di Costantinopoli e rinnegamenti convenienti. Erano tempi duri, ieri come oggi, e sia Michele che i Latini non si facevano scrupoli nell'eliminare laici e religiosi, laddove ad essi pareva utile. A quarantacinque anni tuttavia, nel pieno fulgore della sua potenza, nel sonno un domestico lo uccide a Velegrada: e nella tradizione bizantina (pensiamo che nel 1261, quando Costantinopoli torna agli ortodossi con il dotto Michele VIII Paleologo, questi fa accecare il piccolo Giovanni IV Lascaris perchè non possa tornare sul trono, mentre aveva prima giurato di difenderne i diritti) il fratellastro Teodoro Comneno ne prende il posto ed il principato. Uomo intrigante e ambiziosissimo, codesto Teodoro: prima di finire anch'egli accecato -era di moda...- riesce nel 1224 nell'impresa di Michele e dopo averla assediata, entra in Tessalonica, mirando alla capitale: lì si fa incoronare dal'arcivescovo di Ocrida Comaziano, basiléus autocràtor, Imperatore dei Bizantini, in contrapposizione al Lascaris di Nicea ed ai Bulgari, che pure con Arsen rivendicavano diritti. Durerà poco, e presto il figlio di Michele I, Michele II, più avveduto ed accorto del terribile zio, assumerà il principato epirota con assennatezza, nel bilanciamento delle forze che servirono per mantenere il despotato in piena efficienza. Perchè sconfitto Teodoro nella battaglia di Klokotnica al confine bulgaro nel 1230 da Giovanni Vatatze di Nicea, Michele II preferiva serbare il titolo di Despota e consolidare la regione epirota, pur mai rinunziando ai diritti imperiali.  Michele II ebbe corrispondenza con Federico II lo svevo, che gli manifesta il suo sdegno per non essere riconosciuto da "quel sommo sacerdote" (il Papa) che lo aveva scomunicato.
Non a caso qui i fatti riguardano la storia italiana: dopo la morte della prima moglie del Re di Sicilia e Germania Manfredi Hohenstaufen, che era stata per solo un anno pare (secondo Saba Malaspina) Regina di Sicilia, Beatrice di Savoia della illustrissima famiglia la quale secoli dopo unificherà la Patria nostra, e la nascita da codesta unione particolare (diciotto anni il giovane Manfredi, matrimonio deciso dal padre il gran Federico II, Beatrice di almeno un decennio più grande e con già quattro figli, vedova del marchese di Saluzzo in Piemonte, da cui scese per impalmare il biondo svevo) dell'unica figlia Costanza, la quale veniva alla luce nel 1249 a Catania nell'appena costruito castello Ursino, il celeberrimo maniero sorto ad opera di Federico II dopo la ribellione della città etnea e quando egli disperò di poter sottomettere in altro modo i catanesi (celebre l'episodio del NOPAQUIE, su cui torneremo), Costanza ricordata da Dante Alighieri nel III canto del Purgatorio, quando il pellegrino incontra l'impenitente svevo: "Io son Manfredi, nepote di Costanza imperatrice, ond'io ti prego che quando tu riedi, vadi a mia bella figlia, genitrice dell'onor di Cicilia e d'Aragona..." (il quale fu Federico III, che nel parlamento riunito a Catania nel 1296 veniva incoronato Re di Sicilia, mentre la corona dell'Isola, indipendente sin dai Normanni, era a rischio di unione con l'Aragona); dopo Beatrice di Savoia dunque, morta non si sa come nel 1259, Manfredi sposa Elena, la pare bellissima e diciassettenne figlia di Michele II d'Epiro, che sbarca a Trani e vive con il Re nel castello di Lagopesole in Basilicata, già luogo di caccia al falcone per gli Svevi. Avrà disgraziata vita e prole ancora più infelice, grazie a quel crudelissimo Re che fu Carlo d'Angiò (il quale riposa l'ultimo sonno nella chiesa dei Sovrani francesi a San Denis, ove  è  il sarcofago: le spoglie furono violate durante la ribellione rivoluzionaria): dopo la rotta di Benevento del 1266, Elena viene carcerata e privata dei figli, che moriranno in cattività: solo Beatrice -nome per ricordo della prima moglie sabauda?- primogenita sarà liberata nel 1284 da Pietro III d'Aragona e, condotta a Messina per nave dalla sorellastra Costanza, sottoscritta la rinuncia ai regni di Sicilia (non si sa mai... era sempre figlia di Manfredi...!), "spedita" in Piemonte sposa dei marchesi di Saluzzo, come l'omonima.
il Despotato di Epiro dopo la morte di Michele II (1271) passò a Niceforo, con cui dovette piegarsi alla smodata voracità terriera di Carlo d'Angiò, che rioccupa Durazzo e la costa nel sogno di riconquistare l'impero di Costantinopoli, d'accordo coi franchi di Acaia e persino coi Selgiuchidi, mentre scendono i Mongoli da Oriente (ma risparmieranno sia Nicea, che pagherà per questo, che il relativamente isolato Epiro). L'opera diplomatica dell'Imperatore di Nicea Michele VIII Paleologo evitava però la nuova invasione dell'Angioino con un colpo strategico mortale, che ai Siciliani ed agli aragonesi veniva servito sul piatto d'argento della convenienza sociale e politica.
L'Isola di Sicilia era da anni, anche da Federico II, vessata da tasse ingiuste e spietate che non erano cambiate, anzi aumentate col disprezzo, dopo che gli Angioini erano subentrati agli Svevi: i baroni e persino il popolo attraverso le città demaniali desideravano semplicemente tornare all'epoca dei Re normanni, con un sovrano che "regna ma non governa", ovvero lascia le mani libere alla popolazione ed ai maggiorenti. La gente spicciola era in fermento ma aveva bisogno di stimoli per la rivolta: il denaro di Giovanni da Procida e le società segrete di Alaimo da Lentini, artefici di quella rivoluzione che fu il Vespro siciliano -rivoluta che nasce in una chiesa di Palermo-, provenivano (ci dicono senza problemi gli storici Runciman e Ostrogorsky) dalle casse nicene di Michele VIII -che se ne vanta nella sua autobiografia-, come si può credere pure all'illustre storico Michele Amari, che respinge senza dubbio l'idea di congiura straniera (ma "congiura" è lo stesso termine degli studiosi del XX secolo): fu l'una e l'altra cosa.    Realtà fu che al Vespro del marzo 1282 in Sicilia i francesi vennero liquidati e crollata la Sicilia dalle mani lòrde di sangue di Carlo l'angioino, non si parlò più di invadere via Epiro l'impero bizantino. L'obiettivo era raggiunto.
La parabola del Despotato di Epiro, che sopravviveva nel XIV secolo con la reggenza della Despòina Anna in nome del figlio Tommaso, sempre del ceppo Comneno Ducas Angelo, si spegneva con l'estinguersi di quella dinastia nel 1318, ad opera degli Orsini di Cefalonia, che soppressero Tommaso d'Epiro, mentre la compagnia mercenaria dei Catalani, questi venturieri spietati e senza terra ma affamati di oro (aurei sacra fames...) violentava il vecchissimo territorio di Atene.  Il declino per mano della mezzaluna turca mussulmana era alle porte.   Eclissi o rinascita?

                                                                              Francesco Giordano

*** Nelle immagini, cartina antica dell'Epiro; il castello di Angelokastro a Corfù; moneta di Michele II Comneno Ducas

Pirro Re d'Epiro nell'antichità classica: la spedizione di Sicilia del 278 a.C.





 Pirro Re d'Epiro nell'antichità classica: la spedizione di Sicilia del 278 a.C.

Per quanto riguarda il Regno d'Epiro, oggetto come il Regno d'Italia della nostra conferenza, sulle scaturigini di esso nel XX secolo vi narrerà la relazione fra breve letta; vorrei solo fare cenno al fatto che le relazioni dell'Epiro con la Sicilia, e segnatamente con la città di Catania, sono di antichissima data, precisamente risalgono allo sbarco del famoso Re Pirro, sovrano dei Molossi ed Epirota, in Italia nel 280 a.C. per bramosìa di potere venuto al fianco di Taranto e pugnando contro l'esercito di Roma, che sconfiggeva per la prima volta mercè gli sconosciuti elefanti ma al prezzo di sanguinosissime perdite dei migliori suoi uomini (dònde il detto vittoria di Pirro, per vittoria inutile e dispendiosa); in seguito alle guerre pirriche contro Roma, egli venne chiamato in Sicilia perchè Siracusa, dopo la caduta del Re Agatocle (la cui figlia Lanassa era stata moglie di Pirro, egli quindi consideravasi l'erede al trono siceliota), era assediata per l'ennesima volta dalla flotta cartaginese.
Sconfiggere i Punici in Sicilia e creare un impero occidentale come Alessandro il grande fece in Oriente, fu l'effimero sogno di questo condottiero di razza stravagante (Plutarco ci dice che sulla mascella superiore aveva non denti ma segni duri sull'osso, e con l'alluce del piede destro riusciva, solo toccandoli, a guarire i malati di milza). Per cui nel 278 a.C.. egli sbarca nell'isola da Taranto e Locri non attraverso lo stretto, tenuto dai nemici Mamertini e dalla guarnigione campana ribellatasi a Reggio, ma direttamente a Naxos porto di Tauromenio, perchè come Timoleonte corinzio prima di lui, ebbe amico il tiranno taorminese. Da Naxos per mare giungeva a Catania, tra le scogliere dell'Armisi e nel teatro greco, oggi su via Vittorio Emanuele, l'assemblea civica radunata decideva di proclamarlo "basileus", ovvero re, di Sicilia, e di offrirgli delle corone d'oro per simboleggiare l'evento. Ciò è quanto ci dice Diodoro Siculo nel XXII dei suoi libri (di cui purtroppo per quella parte abbiamo solo sunti). Da qui ingenera la presenza nella città etnea dell'elefante, poi divenuto con Federico III Re di Sicilia, nel XIV secolo, simbolo effettivo sino ad oggi della comunità catinense; perchè sempre Pirro portava con se gli elefanti come macchine da guerra, come dopo pochi anni farà Annibale, addirittura valicando le Alpi nell'epico scontro con Roma.
Pirro libera Siracusa, conquista Akragas, Panormo e Segesta, assedia e conquista scalandole personalmente e dando prova del suo valore indomabile, le mura di Erice, ma dopo due mesi non riesce a spezzare l'assedio di Lilibeo, che saldamente si mantiene in mano cartaginese. Vuole conquistare come Agatocle l'Affrica poiché mancangli le truppe dissanguate in molti scontri; ma qui diviene inviso ai Sicelioti perchè arruola di forza soldati, e persino i due tiranni di Siracusa che lo chiamarono divengono suoi nemici. La meteora Pirro, che aveva fatto in due anni, dal 278 al 276, coniare monete con la scritta "Basileus Pyrros" e la Dea Core, finisce rapidamente poiché egli torna a Taranto e poi in Epiro, nel mentre lasciando l'isola nostra, esclama che vede un bel campo di battaglia tra Cartaginesi e Romani, come del resto avverrà di li a breve con la prima guerra punica.
Condottiero valoroso ma di bramosìa insaziabile, Pirro in Epiro tuttavia aveva in uso -ci dice Plutarco- di appellare il popolo in assemblea e farsi approvare come Re, così il popolo sceglieva di conservare la monarchia. Primo e forse raro esempio di democrazia popolare monarchica nell'antichità! Ciò dimostra che ieri come oggi, la democrazia si conserva in maggior simbiosi col popolo, molto meglio che nelle repubbliche, nelle monarchie.

                                                                                   Francesco Giordano

(dalla conferenza "Regno d'Italia e Regno d'Epiro nell'Europa di ieri e di oggi", Catania 23 aprile 2016; testo pubblicato in fascicolo negli atti, a Cura della Segreteria del Circolo dell'Informazione di Catania, primavera 2016).

*** Nelle immagini, un celebre ritratto del Re Pirro, una moneta in argento del sovrano epirota, la copertina del fascicolo degli Atti