martedì 7 dicembre 2010

Assolto il Principe Vittorio Emanuele di Savoia


L’inutile fango del "savoiagate" nel 2006


Assolto il Principe Vittorio Emanuele, la verità trionfa


"Il fatto non sussiste": così l’erede al trono ed i cinque accusati vedono cadere la melma di
vergognose accuse formulate dal pm potentino Woodcock – La Russa: riposino al Pantheon le salme degli ultimi due Re di Casa Savoia -

Estate del 2006: nella canicola come sovente vuota di notizie, soprattutto nell’anniversario dei sessant’anni dalla proclamazione della Repubblica , nonché del (falso, come dimostrano gli atti e la storia) referendum che sancì la fine della monarchia e della casa regnante di Savoja in Italia, scoppia come una bufera inaspettata quello che la pubblicistica, invero a volte degna delle peggiori specie del regno animale invertebrato, definisce il ‘savoiagate’: accusato di corruzione, gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione il Principe di Napoli (ed erede al trono) Vittorio Emanuele, quasi settantenne, capo della Real Casa, viene arrestato e tradotto come un volgare delinquente a Potenza, ove sconta sette giorni di carcere, dopo a Roma diversi mesi di arresti domiciliari. L’inchiesta è avviata dal PM Henry J.Woodcock, già noto alle cronache giudiziarie per similari casi di indagini cosiddette eccellenti: con il Principe del sangue, vengono arrestati cinque persone, a vario titolo coinvolte nell’inchiesta, di cui tre siciliani: l’imprenditore messinese Rocco Migliardi, Nunzio Laganà, Ugo Bonazza, Gian Nicolino Narducci e Achille De Luca di Catania. Le ipotesi di reato, le insinuazioni, le malefatte inventate, la cattiveria anche da parte di taluni del cosiddetto ‘vecchio mondo monarchico’, sono in quelle settimane all’ordine del giorno. Persino Emanuele Filiberto, figlio del Principe, ora star della TV, viene brevemente coinvolto nell’inchiesta. La quale però va evaporando dopo qualche tempo, e nel 2009 gli atti si spostano per competenza al Tribunale di Roma. L’accusa, lo si rammenterà, era di associazione a delinquere per aver trafficato in slot machine in cointeressamento con gli altri allora imputati, a fini di lucro ed altre trame oscure. Ricordiamo altresì che in quell’occasione, sia nei siti Internet che sui giornali si rispolveravano le vecchie, ed inconsistenti, accuse al Principe di collusioni con poteri segreti, di traffici illeciti: insomma, nell’anno in cui sarebbe stato doveroso, per storici studiosi e divulgatori verso il cittadino del XXI secolo, come è già accaduto in altre Nazioni, dispiegare con dovizia di particolari la scaturigine della nascita della Repubblica dal vero e proprio colpo di Stato dell’allora Presidente del Consiglio De Gasperi, a danno di Re Umberto II e della Casa regnante, e come questi per evitare il già preventivato spargimento di sangue fraterno, abbia volontariamente e con clamorosa protesta scelto la via dell’esilio da Sovrano in carica legale, si dava la stura al pozzo melmoso delle fantasie del tutto inventate, a carico dell’erede legittimo di Casa Savoja.
Che codeste accuse fossero inventate, lo ha finalmente stabilito, come molti nel mondo monarchico non hanno mai dubitato, il 22 settembre di quest’anno il gup del Tribunale di Roma, assolvendo definitivamente l’Altezza Reale il Principe Vittorio Emanuele di Savoia (il quale, come si ricorderà, in virtù della riforma costituzionale del 2002, è da allora anche cittadino italiano dopo anni di esilio ingiusto), nonché i sopraddetti signori Rocco Migliardi, Nunzio Laganà, Ugo Bonazza, Gian Nicolino Narducci e Achille De Luca, dalle accuse all’epoca formulate, "poiché i fatti non sussistono". E’ evidente la discrepanza fra la notizia dell’assoluzione, che non ha avuto quasi nessuna rilevanza tra i mezzi di comunicazione, e le accuse ed il carcere, amplificati al solo fine di distruggere, con l’immagine personale del Principe, sinanco quella dell’intera casa Savoja. E però la Storia, checché ne dicano i maligni ed i nemici della Patria, non si può mai cancellare, ed il tempo è ottimo giudice. E ristabilisce la Luce, mentre per tratti può sembrare che imperino le tenebre.
Il Principe, sempre confortato dall’amore della consorte Principessa Marina Doria, nota per le numerose opere benefiche che patrocina, ha così commentato, in una recente intervista ad Oggi, mentre da Bergamo inaugura un ‘giro’ in varie località italiane per l’anniversario dell’Unità: "È come se mi fossi svegliato da un incubo. Mi do un pizzicotto e capisco che non c’era nulla di vero. È una sensazione stupenda… come in un brutto sogno mi sentivo impotente, vittima di un ingranaggio più grande di me. Le accuse erano talmente assurde che non sapevo come difendermi…Credetemi, in tutta questa inchiesta non c’era un solo elemento di concretezza che mi permettesse di replicare, reagire, ribattere. Era tutto sfuggente, inafferrabile. Era come lottare contro gli spettri. Una cosa tremenda…È tutto finito. E proprio come capita con gli incubi, una volta sveglio cerchi di ricostruirli. Lo fai con un animo disteso, più sereno. Di una vicenda drammatica riesci a ricordare anche gli aspetti più belli, più divertenti e paradossali… È il tempo che mette a posto le cose. Mi avevano coperto di vergogna. Adesso quella vergogna è finita addosso a loro" . Della sua vicenda e del magistrato che lo ha letteralmente perseguitato afferma: "Fino a qualche giorno fa nutrivo un certo rancore per chi ha fatto soffrire me e la mia famiglia. Oggi per quella persona provo pietà…Woodcock, John Henry Woodcock. In questi anni 210 persone da lui inquisite sono state assolte perché contro di loro non c’era niente, niente di niente. Al processo, prima ancora della difesa, il primo a chiedere la mia assoluzione è stato il pm, la pubblica accusa": Della sua vicenda intende fare un esempio perché più non accada a nessuno il dramma personale vissuto:"Capita un po’ troppo spesso. Non è normale costruire processi come il mio, con accuse a vanvera, fondate sul nulla…Nel nome della legge in questo Paese vengono commesse colossali ingiustizie. Non si può sbattere la gente in galera così, sulla base di un teorema. Ci vogliono le prove. Ecco, io vorrei che il mio caso offrisse lo spunto per cambiare. Penso al bene dei cittadini. Ma anche al bene di questo magistrato, che non va lasciato nelle condizioni di commettere altri errori. Perché alla fine ad andare di mezzo sarà lui. Un giornale lo ha definito il pm delle cause perse. Terribile". E per sé il Principe chiede, come farebbe qualunque cittadino, i danni allo Stato (che a parer nostro, effettuando la tanto sospirata riforma della giustizia, dovrebbe pagare di tasca propria il magistrato che ha sbagliato, ossia non solo ha commesso un crimine etico inquisendo degli innocenti, ma ha provocato aggravi finanziarii alle casse statali!): ma è una richiesta da gran signore, da rappresentante di quel casato che è il più antico della penisola, che vanta mille anni di storia da Umberto Biancamano: "Mi accontenterei di vedere le salme dei miei genitori rientrare in Italia, nel posto che spetta loro, al Pantheon".
Re Umberto e la Regina Maria Josè, della casa di Sassonia Coburgo, avrebbero senza alcun dubbio il diritto di tornare nel sacrario italico dei nostri Re unitari. Il Principe, con tatto, non aggiunge, ma è nostro intendimento ribadirlo, come più volte da queste colonne e da altre platee, che tornino al Pantheon primariamente le spoglie del Re Soldato Vittorio Emanuele III, il vincitore della grande Guerra (sepolto ad Alessandria d’Egitto), e della Regina della Carità, Elena del Montenegro Petrovich Niegos (sepolta a Montpellier in Francia), a cui si deve esser grati imperituramente per le opere benefiche intraprese (noi siciliani sempre rammentiamo le attività indefesse a pro dei terremotati di Messina del 1908); persino l’attuale Repubblica Italiana le ha dedicato un francobollo commemorativo. Solo in questo modo, i centocinquant’anni dell’Unità nazionale che furono la gloria indiscutibile della Casa sabauda, potranno essere celebrati e conchiusi con degnazione e sovranità. Come del resto è accaduto in Nazioni anche non proprio democraticissime (la Russia ha onorato le salme dello Czar e di tutta la famiglia reale, ad esempio). Nei giorni scorsi il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ha ufficialmente dichiarato che è necessario, pur per "un atto di pietà", chiudere le celebrazioni centocinquantenarie dell’Unità riportando al Pantheon le salme degli ultimi due Re d’Italia e delle loro consorti: azione assolutamente lodevole e meritevole del più ampio plauso, che a questo punto attendiamo a breve.
"E tu, Vittorio, abbraccia \ l’italica bandiera; il serto scaglia \ oltre il Po, nel terren della battaglia… a quel suon, di novelli \ fremiti il ciel d’Italia ecco rintrona; \ come nube che tuona \ e nel rovente folgore scoscende, \ lungo clamor da l’alpi al mar si stende": che tali versi del Vate Carducci, pel Re Galantuomo il quale suggellò nel 1861 la Patria comune sotto il suo scettro, possano essere di luminoso auspicio per le sòrti invero or tristi della nostra santa madre, l’Italia; che il clamore della bianca croce, illuminata dall’azzurro e dall’oro della Stella pentalfica, come nella verità han fugato le brutture nella vicenda anzidetta, tornino a proteggere i figli, specie i più bisognosi, e la casa comune, protetta dal glorioso tricolore.


Bar.Sea.


(pubblicato su Sicilia Sera n° 334 del 5 dicembre 2010)

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